Trieste, 10 cose che (non) ho capito di questa città 

Trieste 10 cose

Se vi consiglio Trieste? Sì, al centopercento. Perché? Non saprei, non l’ho mica capita ancora questa città. E’ vero, ci ho trascorso pochi giorni. Ma pochi giorni in una città italiana dovrebbero essere sufficienti a entrare nel mood, per una persona italiana. Invece qualcosa continua a sfuggirmi. Trieste mantiene quel fascino che hanno le donne misteriose, che non si svelano mai del tutto nemmeno al proprio amante. Capricciosa, indomabile, capace di cambiare aspetto a seconda del vento, dell’ora del giorno e della porta che varchi. Eppure all’apparenza tranquilla e serena sulle sue sponde. Imperscrutabile nel profondo e ricca di sorprese quando si inizia a grattare un po’ la superficie. In mezzo a questo crogiolo di culture, storie, etnie, sponde e stili, ho capito di non aver capito almeno 10 cose di Trieste.

  1. Gli orari

Se c’è una cosa che non sono riuscita a capire sono gli orari. Siamo di fronte a un gap culturale profondissimo con il posto da cui vengo io, dove tendenzialmente i bar e i ristoranti fanno tutti gli stessi orari, i musei e le istituzioni pubbliche uguali e non puoi aspettarti troppe sorprese in tal senso. Qui ho trovato bar che aprono alle 10 e ristoranti già attivi alle 9.30 del mattino, mentre altri che dichiarano di essere aperti per pranzo alle 12.30 hanno ancora luci spente e sedie sui tavoli. Alcuni musei aprono alle 9, altri alle 10, facendo sottintendere che non è che perché si va presto per mare ci si deve tutti necessariamente alzare presto. Allo stesso modo non sono mai stata in grado di capire se i triestini che incontravo a bere dalle 21 in poi fossero al quarto aperitivo o alla prima bevuta dopo cena (un po’ e un po’ probabilmente).

  1. Gli aperitivi

Di sicuro l’aperitivo gioca un ruolo importante, perché accompagna buona parte della giornata (si può cominciare alle 11 e riprendere alle 17 con una piccola pausa in mezzo). Lo spritz “normale” ovvero bianco, rinuncio a capirlo.

  1. Se è ricca o meno 

Di sicuro Trieste non ostenta. Non ho avuto mai l’impressione di grande ricchezza nonostante i commerci dovrebbero essere forieri di un certo benessere diffuso. Quando ero lì mi è capitato di leggere un articolo in cui si affermava con un certo orgoglio che i pensionati triestini sono tra i più ricchi d’Italia. Eppure Trieste non sembra aver subito una crescita esuberante. Sembra invece rimasto (tornato?) un posto piuttosto tranquillo, dove se passi un quarto d’ora in un bar del centro il 99% delle persone entrano e chiedono “il solito” (e il restante 1% sei tu). Un posto in cui resistono baluardi storici come un negozio monomarca di stilografiche Parker (quindi esistono ancora), librerie (udite udite), negozi di dischi e dvd (pensa un po’), rigattieri dove perdersi per ore e parole come “buffet” al posto di ristorante.

  1. Quanto è turistica

Trieste resiste anche ai ristoranti turistici e i souvenir si trovano in appositi negozi di cianfrusaglie scolorite dal sole di anni. Non sono riuscita a capire quanto questa città sia turistica, nonostante i camerieri parlino 3 o 4 lingue fluentemente e i menu siano scritti anche in inglese, tedesco e ovviamente sloveno. Osservando i flussi giornalieri delle persone e le targhe delle auto ho avuto l’impressione che la maggior parte del turismo provenisse da centro ed est Europa, ancor più che dall’Italia. Un dato che in realtà non sorprende: per loro dev’essere come fare una gita all’estero senza la fatica di dover parlare un’altra lingua e di allontanarsi troppo dai sapori di casa.

  1. Cosa si mangia

Trieste cucina

I ristoranti fighetti si alternano a trattoriacce old style con menu tradizionale e arredamento decisamente vintage. Nell’angolo più milanese della città puoi trovare Temakhino, Rossopomodoro, Assaje e altre insegne del genere, ma è molto più diffusa la categoria “cucina tradizionale”. Che però non sono riuscita a capire molto come sia realmente, tra rivisitazioni contemporanee e riproduzioni fin troppo vintage. Di sicuro l’Impero austroungarico ha lasciato il segno e di sicuro si beve bene (ma questo lo sapevo anche prima di andarci).

  1. Se è pericolosa

Non ho mai avvertito sensazione di pericolo a Trieste, nemmeno quando mi sono allontanata dalle zone più turistiche. Paragonandola ad altre città italiane una differenza si avverte forte e chiara: non si vedono quasi mai forze dell’ordine per le strade o a presidiare obiettivi sensibili.

  1. Degrado e rinascita

Ogni angolo trasuda il fascino degli antichi fasti decaduti. Camminando per le viuzze in salita della città vecchia non sono riuscita a capire se sia più forte la spinta al degrado o alla rinascita. Ma sono più propensa per la seconda.

  1. Maialini ben augurali 

Così come non sono riuscita a capire lì per lì perché da ogni vetrina di caffè, pasticceria o forno mi guardassero una schiera di maialini di marzapane: sono dolcetti benaugurali di tradizione asburgica e si regalano per Capodanno.

  1. La geografia 

Non credo neanche di essere riuscita ad orientarmi bene, ma sono sempre riuscita a trovare la via per l’hotel. Il che è già un traguardo.

  1. Quanto è popolata

Infine non ho capito realmente quanto è popolata e come si spostano le persone. Il poco traffico che ho trovato non era paragonabile a nessun’altra città delle stesse dimensioni che conosco. Che funzionino i mezzi pubblici? Questa sì che sarebbe una cosa misteriosa.

Chiudo questo elenco con alcune indicazioni più utili, cose che ho capito e testato.

Dove fare colazione: la scelta è veramente ampia tra caffè storici e non, consiglio La Bomboniera e Sircelli (dove acquistare anche i famosi maialini), entrambi in zona del Canal Grande.

Dove pranzare: da Theresia in piazza della Borsa, con 15 euro in un posto caldo e accogliente, al primo piano di un palazzo signorile.

Dove fare l’aperitivo: tra piazza dell’Unità e via San Sebastiano.

Dove cenare: Al Petes, osteria nella città vecchia che propone piatti della tradizione in chiave più contemporanea.

Dove bere: al Draw, nell’area fighetta della città, anche per provare il gin locale Roby Marton.

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