Essere o non essere una donna

essere una donna

Mentre facevo i bagagli per l’ultimo press tour prima della pausa estiva, pensando a che razza di vestiti portare per essere presentabile e professionale in un resort di lusso così come in un campo di cipolle sotto il sole a picco e con una massima annunciata di 39 gradi, mi sono interrogata sulle complicazioni dell’essere una donna.

Perché a una donna si richiede appunto di essere sempre presentabile, oltre che presente. Di essere disponibile, ma senza esporre troppa pelle -anche con 39 gradi- onde evitare di apparire troppo disponibile. Di non sudare, possibilmente (il sudore è l’ultimo dei tabù sociali).

Guai ad alzare la voce o usare toni troppo autoritari: anche qualora una donna ricopra un ruolo autorevole è richiesta una certa dose di sorrisi. Laddove abbia raggiunto una posizione di leadership, da una donna ci si aspetta che abbia comunque un atteggiamento più inclusivo, che da qualche parte attinga a un innato spirito materno. Ci si aspetta che accudisca i più deboli e che abbia voglia di fare figli: in caso contrario si sospetta una grave malattia per cui non possa averli.

Il fatto stesso di poter mettere al mondo dei pargoli si traduce nella privazione totale di privacy. Al benché minimo accenno di rotondità sotto la vita anche un perfetto sconosciuto dietro la cassa di un ristorante si sente in diritto di chiederti se per caso sei incinta (o se finalmente lo sei, in caso ti veda da anni pur non avendo stabilito con te alcun grado di intimità). La cortesia che si richiede a una ragazza ben educata ti impedisce di rispondergli come si meriterebbe (“no, sono le cene”). Eppure: esiste qualcosa di più intimo, complicato e personale di una gravidanza? Hai idea tu, perfetto sconosciuto, della situazione sentimentale, emotiva, fisica in cui mi sto trovando?

Quando poi una sciagurata decide di rendere noto il suo “stato interessante” o non può più nasconderlo, non può sottrarsi a una risma di mani addosso (solitamente  sulla pancia, ma non diamo niente per scontato) e consigli non desiderati da chiunque ha avuto figli/parenti che hanno avuto figli/amici/colleghi che hanno conosciuto il grande mistero della procreazione prima di lei.

Pensateci: c’è un equivalente di ciò nella condizione maschile? Accetto suggerimenti.

E pensate alle ore perse dal parrucchiere, dall’estetista, a cercare di smaltire il pancino-che-sembro-quasi-incinta, a scegliere l’antirughe, l’integratore per non perdere i capelli, le scarpe abbastanza comode per il press tour ma sufficientemente femminili per non scadere nella sciatteria. Quanto è più complicato essere una donna?

So bene che ci sono violazioni ben più gravi dei diritti delle donne, non mi prendete troppo sul serio. Ma credo anche che non sia possibile vincere la grande guerra della parità di genere se non si passa da qualche piccola stupida battaglia. Non penso che dobbiamo rinunciare alla cura di noi stesse, anzi. Ma se smettessimo tra donne di giudicarci così severamente (le une con le altre e anche con noi stesse) sarebbe un buon inizio. Perché sono principalmente le donne a giudicare le altre donne dalla scarpa, il capello, il grasso superfluo, la capacità di bilanciare vita privata e lavoro. Una competizione continua. Gli uomini sono più liberi, anche in questo. È come se le donne avessero la dote di complicarsi da sole l’esistenza. Forse per renderla più interessante. Ma forse anche questo fa parte del nostro intricato e inafferrabile fascino.

In copertina: Sandro Giordano, “Io sono l’Italia”, Roma, 2015.
Photo credits © Sandro Giordano

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