Siamo quello che buttiamo (e come lo buttiamo)

autopsie mouron rostain, milano

Sono molto interessata al rapporto che le persone hanno con i propri rifiuti. Sì, ora penserete che sono matta, ma vi assicuro che si possono capire molte cose della personalità di qualcuno a partire dal rapporto che ha con la propria spazzatura. Non sono andata a curiosare negli altrui bidoni dei rifiuti, se è questo che state pensando, anche se qualcuno ha fatto di questa pratica voyeuristica perfino una forma d’arte (i paparazzi Bruno Mouron e Pascal Rostain, che hanno raccolto i rifiuti delle star in una galleria fotografica, Autopsie, esposta di recente a Milano).

Non mi interessa che cosa la gente butta via, ma più che altro come, dove e quando si libera dei rifiuti. Da un po’ di tempo sto studiando le persone che mi circondano.

Ci sono quelli che non buttano via mai niente: lasciano carote e zucchine a marcire nel cassetto del frigo, le patate a germogliare sulla mensola, i giornali a ingiallire sul divano. Stanno a guardare la pattumiera che si riempie fino all’inverosimile e una volta che è piena scuotono il sacco per fare un po’ di posto aggiuntivo, ripiegano le vaschette degli alimenti in mille parti pur di farcele entrare, trovano modi alternativi di strizzare le bottiglie di plastica. Tutto pur di rimandare l’atroce momento del cassonetto.
Non giudicateli male, sono persone pulite, di solito tengono più o meno in ordine il bagno e la cucina, ma hanno il rifiuto del cassonetto. Perché? Ottimizzano gli sforzi: se devi fare una cosa che non ti piace, almeno trova il modo di farla meno spesso. In fondo, sono persone logiche e razionali.

Poi ci sono quelli che si sono arresi al predominio del caos. Sono quelli che disseminano il bagno di rotoli di carta igienica finiti, saponette usate due volte e abbandonate, flaconi mezzi vuoti (e ne aprono costantemente di nuovi). Ma non sono affatto depressi di fronte all’incombere dell’entropia, anzi. Sono in realtà degli inguaribili ottimisti: sono profondamente convinti che il caos abbia un ordine interno e tutto andrà a posto da solo. O avranno tempo ed energie per fare un repulisti in un altro momento. O per lo meno ci penserà qualcun altro al posto loro.

Sul fronte opposto ci sono i frequent travellers al cassonetto dei rifiuti, quelli che non appena il sacco raggiunge il livello di guardia lo devono portare via per rimettere quello nuovo. Devo ammettere che faccio parte di questa categoria. Leggo ogni articolo che contenga i germi del riciclo, ho tutte le mie teorie sulla carta unta che non si recupera, i cartoni della pizza, il tetrapak che si butta con il vetro ma non sempre, dipende dalla città in cui ti trovi. È più forte di me, non posso vedere flaconi o bottiglie vuote a giro per la casa, butto via regolarmente i giornali di tutta la famiglia e soprattutto avverto un senso di profonda soddisfazione quando ho gettato la carta nella carta, la plastica nella campana e l’organico nel bidone marrone dei rifiuti umidi. Per una frazione di secondo ho messo a posto un piccolo pezzo di universo. Il mondo non mi ha ancora costretta a soccombere al caos, me la sono cavata per un altro giorno. Sì, in effetti mi sa che sono io la pazza.

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