La parabola di Leonardo Di Caprio

Ero felice che Leonardo Di Caprio avesse vinto l’Oscar, tifavo per lui. Poi ho cominciato a leggere una serie di cose su Facebook che quasi quasi avrei preferito il contrario.

Si era scatenata una sorta di follia collettiva da Di Caprio tra gli esseri umani di genere femminile della mia generazione. Ho visto gente pubblicare foto dei tempi di Genitori in blue jeans, donne sposate e con figli dichiarare orgogliosamente di aver visto Titanic 44 volte (e giù romanzi sull’abbraccio Di Caprio-Kate Winslet la notte degli Oscar), stimate professioniste lanciarsi in improbabili dichiarazioni d’amore. E allora ho capito. Ho capito che l’Oscar di Leonardo Di Caprio rappresenta un po’ la redenzione per le nostre esistenze di trentenni.

Lui che ha passato la vita ad essere considerato un bamboccio biondo, che ha dovuto imbruttirsi, ingrassare e invecchiare per essere considerato credibile, costretto a insistere sul tema ambientale ogni volta che poteva pur di guadagnarsi una legittimità sociale, ché le decine di film inanellati non bastavano, né tantomeno il conto in banca. Ecco, forse ci riconosciamo un po’ nella parabola o quantomeno speriamo che vada così anche per noi. Dopo anni passati a sentirci dire che eravamo troppo giovani o troppo vecchi per avere quel posto, troppo carine per essere affidabili, troppo inesperti per poter dire la nostra, anche quand’anche avessimo costruito un impero nel frattempo. Pensate a Mark Zuckerberg, rimasto nell’immaginario collettivo il ragazzotto con la felpa appena uscito dall’Università. Pensate a Leonardo Di Caprio.

Forse la statuetta ricevuta per The Revenant è un Oscar alla carriera, più che alla singola performance, il riconoscimento della determinazione di una vita. E forse adesso Leonardo Di Caprio potrà mollare anche la rincorsa all’ultima bionda e metter su una famiglia modello Brangelina. Ma speriamo di no. Noi trentenni ci sentiremo un po’ tradite.

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