Il senso dell’uomo moderno per la lavatrice sul terrazzo

lavatrice terapeutica

Com’è che la lavatrice domestica, simbolo del benessere diffuso, dell’emancipazione femminile dal sapone di marsiglia, delle pari opportunità del bucato e dell’indipendenza degli adolescenti dalle cure genitoriali si è trasformata in un oggetto ripugnante?

Se pensavate che la lavatrice fosse solo un utile strumento casalingo dovrete ricredervi. La lavatrice di casa è molto più di questo: è oggetto di dibattito, di diatribe familiari, di discussioni tra coinquilini, di elucubrazioni di designer e architetti d’interni che tentano di mimetizzarla o infilarla in elementi d’arredo.

Il posto dove tenete la lavatrice dice su di voi molto più di quel che pensate. Non siete convinti? Provate a porre la questione in pubblico: la lavatrice dove la metto? Molti di voi daranno per scontata la risposta. E invece le lavatrici stanno nei posti più disparati: in bagno, in cucina, sul terrazzo, in giardino, in mansarda, in garage.

Personalmente ho sempre considerato dei disgraziati quelli con la lavatrice sul terrazzo, pensando che non avessero spazio a sufficienza in casa. Fin da piccola ho provato pena per loro, costretti a congelarsi le mani d’inverno o uscire in ciabatte sotto l’acqua. Invece mi sono resa conto che molte persone ce la mettono di proposito, per vederla solo lo stretto indispensabile.

Indagando sul luogo ideale della lavatrice ho notato che in pochi utilizzavano un approccio pragmatico (“la lavatrice sta dove c’è una presa della corrente e uno scarico per l’acqua”), mentre andava per la maggiore il criterio estetico (“la lavatrice è brutta e quindi deve stare dove dà meno fastidio da questo punto di vista”).

Mi sono chiesta se la lavatrice fosse rimasta vittima di un mutato concetto di casa o dell’estetismo sempre più imperante nelle nuove generazioni. Ma mi sono accorda che l’orrore e l’affetto per la lavatrice sono transgenerazionali. La lavatrice o si ama o si odia, indipendentemente dall’età, dal genere e dal luogo di provenienza. D’altronde il senso che diamo alle cose va oltre la pura e semplice funzione che hanno (e non è un caso se l’Università di Firenze ha dato vita addirittura a un Festival per riflettere sull’anima degli oggetti).

Forse i fenomeni sociali non c’entrano, forse è il rifiuto per un compito ingrato che spinge le persone a nascondere la lavatrice. O forse il senso che diamo alla lavatrice è più profondo e ha a che fare con la centrifuga che toglie i peccati dal mondo.

Il “cappottino” o il casottino in cui confiniamo la lavatrice è un po’ come la tendina del confessionale dietro cui ci si nasconde per confessare i propri peccati, per poi uscirne puliti e profumati, fingendo di non averli mai commessi. D’altronde, come dicevano le nostre nonne, i panni sporchi si lavano in casa, non in piazza.

In effetti il bucato del lunedì sera per me è un momento catartico: si porta via le fatiche di tutta una settimana, gli acquazzoni subiti in bicicletta, le sudate fatte all’alba, i ristoranti provati, i fritti cinesi, i beveroni disintossicanti, i resti di vino e i litri di caffè mandati giù.

Potete dire quel che volete, ma la centrifuga è terapeutica. Il che non significa che siete autorizzati a mettere in lavatrice il neonato urlante con i panni sporchi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *