Lotto marzo sciopero. O forse no

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È stato un otto marzo un po’ particolare, questo, segnato da scioperi e proteste in tutto il mondo. Non voglio mettere in dubbio il principio per cui è stato indetto. Condivido le ragioni. Ma non il metodo. Non qui in Italia, un paese dove solo una donna su 2 ha un lavoro e la percentuale scende al 27% al Sud (fonte Ocse). In questo scenario, siamo proprio sicure che lo sciopero sia lo strumento giusto per farci sentire? Sarà che ormai ho poca fiducia nello strumento, ma siamo sicuri che le persone capiranno la differenza tra “lotto marzo” e un qualsiasi sciopero dei treni per il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri?

Ho posto la stessa domanda sulla pubblica piazza (leggasi Facebook). E ho ottenuto risposte che mi hanno fatto riflettere.

Mi rifiuto di rispondere a chi mi ha detto che non importa avere un lavoro per fare sciopero. C’è chi mi ha detto che si può scioperare anche da lavori “affettivi” e non pagati, come il prendersi cura h24 di figli, fratelli, genitori, nonni. Ma è proprio così? Voi altre donne ci riuscite a smettere per 24 ore di preoccuparvi di bambini piangenti, ragazzetti da riprendere a scuola, genitori malati o bisognosi di attenzioni? E anche se ci riuscissimo, siamo sicure che i nostri figli, compagni e genitori capirebbero le ragioni per cui lo facciamo? Se veramente siamo in grado di far capire loro il messaggio dello sciopero dell’otto marzo 2017, allora perché non ci proviamo tutti i giorni dell’anno? In fin dei conti si tratta delle persone che amiamo e che ci amano, non di una compagine governativa o di una classe politica “distante dalle esigenze dei cittadini”.

Sia chiaro, sono domande che pongo prima di tutto a me stessa.

Ma voglio invece rispondere a chi mi ha chiesto se esistano alternative allo strumento dello sciopero delle donne.

Sì che esistono alternative allo sciopero. C’è sempre un’alternativa.

E’ quella di battersi ogni giorno per averlo un posto di lavoro e pretendere di essere retribuite quanto gli uomini. Quella di spendere un po’ del proprio tempo per spiegare ai nostri compagni e figli che non siamo più negli anni ‘50 e possono dare una mano anche loro nelle faccende di casa. Quella di chiedere ogni giorno a chi ci amministra di creare – non posti di lavoro – ma asili nido che possano accogliere bambini anche molto piccoli e che non ci si debba vendere un rene per mandarci i figli. L’alternativa è non girarsi dall’altra parte quando sentiamo la storia di una donna vittima di violenza, perché “tanto a me non succederà mai”, ma pensare a un modo affinché non ci sia più violenza di genere.

E comunque io sarò felice quando vedrò gli uomini fare sciopero per i diritti delle donne. Quando li vedrò fare a gara per aggiudicarsi una donna per guidare le loro aziende e i loro Paesi. Fino ad allora, risparmiate le mimose.

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