Maratoneti a metà

prima mezza maratona

Ventunomilasettantanove metri e duecentonove minuti. Non avrei mai pensato che bastassero a offrirmi una tale prospettiva sull’umanità. E su me stessa.

Lungo il percorso della Half Marathon di Firenze ho pensato che non ero all’altezza della prova. Mi capita sempre quando mi iscrivo in modo del tutto privo di senso a una qualche gara. All’inizio della mia prima mezza maratona ho invidiato le persone intorno a me che facevano palesemente parte di una qualunque associazione sportiva, pensando che loro sì che erano allenate. Le ho viste aspettarsi lungo la via e addirittura prendersi per mano quando erano in crisi. Poi ho sentito il capo incitare il branco e mi sono risollevata: meglio sola.

Ho visto amici seminare i propri amici senza sensi di colpa, gente correre sotto l’insegna della propria azienda, giovani in tenuta ultratecnica arrancare al 17esimo km e vecchi coi catarri superarmi al 18esimo. Ho staccato un paio di illustri provoloni da gara (degni di un aggiornamento del mio vecchio post sugli approcci più fantasiosi del maschio italico). Ho sperato di trovare un viso conosciuto dietro ogni angolo. Al secondo giro della mia prima mezza maratona di Firenze ho capito che era inutile, ma che ce l’avrei fatta lo stesso.

Ci si può fare. Anche se alle spalle hai 2 ore di sonno e una quindicina complessive in una settimana. Anche se tuo padre ti saluta dicendoti “facci sapere se ti ritiri, così non stiamo ad aspettare inutilmente” e il tuo ragazzo ti manda quasi a quel paese in griglia di partenza, dopo 2 giorni durante i quali sei stata insopportabile. Anche se durante l’ultima settimana hai accumulato un paio di crisi di nervi e un numero incalcolabile di bicchieri di vino.

Non sempre sembra che il tuo corpo risponda ai tuoi desideri, ma più spesso sei tu che non lo ascolti. Abbiamo energie che non sappiamo, riserve segrete che non sfruttiamo. Basta frugare più a fondo.

Mi sono lasciata alle spalle i pacemaker con i palloncini e la paura di non farcela da sola.  Ho percorso gli ultimi 400 metri col cuore in gola e i palloncini alle calcagna. Sono arrivata in fondo pensando che non ci sarebbe stato nessuno ad aspettarmi, ma sarei arrivata comunque. Mi sbagliavo: non ero sola.

Non importa se lungo il viaggio non c’è nessuno che fa il tifo per te. Non importa se non hai una bandiera sotto cui correre. Ce la puoi fare lo stesso, puoi diventare la tua bandiera. Ma se hai qualcuno che ti porge i sali è anche meglio.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *